Dott. Giuseppe Venezia

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Musica e Psicoanalisi

Senza bisogno di parole, prima della parola, la musica sa evocare gli stati d’animo, tra questi la tristezza.

Si conoscono antichi generi musicali dedicati al sentimento triste come il threnos, il planctus, la lamentazione, i tombeaux, così come oggi parliamo di blues, che, al singolare I’m blue, indica uno stato d’animo triste e ha dato nome a un celebre genere di musica. Scendiamo sotto l’equatore e sentiamo quanta saudade c’è nel samba brasiliano; anche saudade significa animo mesto.

Pitagora è ricordato come il primo tra i filosofi che si occuparono di musica; aveva capito che gli intervalli tra le note sono esprimibili con numeri frazionari piuttosto semplici. Gli interessava stabilire una  relazione tra le armonie musicali e i movimenti stellari, che per lui erano percepibili come armonie delle sfere celesti.

La musica non descrive, non illustra concetti; è un mezzo per trasmettere ed evocare affetti, stati d’animo, o umori. Cercando una spiegazione all’ordine e ai ritmi del mondo, i filosofi, da Pitagora in poi, hanno usato come modello anche la musica.

Così Schopenhauer scriveva:

“Ciò che nella musica vi è di ineffabilmente intimo … eppur cos’inspiegabile, sta nel suo riprodurre tutti i moti della nostra più intima natura, ma senza la loro tormentosa realtà”.

Prima ancora aveva detto: “… la musica non esprime che la quintessenza della vita e dei suoi avvenimenti, mai essi stessi”.

Tutti noi comprendiamo le semplici equivalenze: ritmo lento = sentimenti malinconici, ritmo veloce = allegria. La ritmicità è di solito rassicurante (il gesto di cullare fa riposare), essa è fatta di piccole discontinuità regolari che si ripetono molte volte e perciò costituiscono un particolare continuum: dopo poco noi ci aspettiamo che le pulsazioni si ripetano secondo una regola precisa, e questo ci rassicura. Trovare il ritmo adatto è compito vitale. Il respiro, la sistole, succhiare, cullare, fare l’amore, sono atti ritmici in cui appare con chiarezza l’importanza dell’agire assieme.

La melodia e il timbro rimandano alla voce e all’identità della mamma, della “mia mamma”; un’altra mamma avrebbe una voce diversa. L’incapacità di trovare il ritmo giusto, il timbro familiare, la melodia nota, causano nel bambino agitazione e rabbia. Il più grandicello e l’adulto, che vorrebbero godere ancora di quei ritmi e melodie, come durante la prima infanzia, sentono una melanconia nostalgica. Il blues è una musica-sentimento che esprime il desiderio, la nostalgia e la tristezza per un tempo e un luogo perduti.

Per contro spesso ci si dimentica che la musica è anche piacere, gioco. In altre lingue suonare si dice giocare. E tutti i bimbi spontaneamente giocano ed esprimono la loro creatività anche con i suoni. Anche in questo caso a prima vista può sembrare che qui si parli del gioco, di eventi estranei alla melanconia. Il fatto è che noi passiamo da stati d’animo tristi all’euforia, dove uno può rammentare l’altro, o l’allegria può essere un tentativo di autoterapia, una difesa dalla depressione.

Tratto da:
Oliver Sacks (2007), “Musicofilia”,Gli Adelphi, Milano.
Vittorio Volterra (2002), “Melancolia e Musica: creatività e sofferenza mentale”, Franco Angeli, Milano.

Anche la psicoterapia è pensabile come la sovrapposizione di due aree di gioco (Winnicott, 1988), un duetto, nel rinascimento si sarebbe detto un bicinio, canto a due voci.